medial 3. art biennial [2009]
Andrea Cardia Italy

  

              

1.bello, 2007 Mixed Media 100x70 cm. €2000     2.buio dentro, 2007 Mixed Media 120x80 cm.  €1500     3.dovr essereultimo, 2007 Mixed Media 150x100 cm. €4000     4.attraverso, 2007 Mixed Media 80x80 cm. €3000     5.madre, 2006 Mixed Media 120 x100 cm. €3000     6.pazzia, 2003 Mixed Media 80x80 cm. €2500     7.Solamente, 1999 Mixed Media 80x80 cm. €1500     8.ovunque, 2009 Mixed Media 270x240 cm. €6000

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L’URGENZA DELLA PITTURA: Andrea Cardia nasce a Roma nel Luglio del 1971 ,ultimo di sette fratelli. Una vita giovane ma segnata da esperienze borderline che confluiscono,come nella migliore tradizione delle biografie”maudites” nelle tele trasognate o drammaticamente segnate da un segno grafico potente,nero,definitivo. Le componenti,quelle materiche e quelle brucianti della vita vissuta,s’intersecano e si confondono nel gioco drammatico dei colori e delle forme tormentate. Sulla tela,infatti,si consuma il gioco di un infanzia negata,rivissuta ed evocata dall’uso insolito delle vernici da carrozziere, respirate da bambino nell’officina paterna.Così si passa con totale naturalezza all’uso della sabbia e al catrame,materiali immediatamente reperibili,materiali da “street arte”.Ogni forma d’espressione è orientata alla ricerca tattile e febbrile d’odori del passato,delle sensazioni mai dimenticate che si materializzano magicamente sulle tele ma anche su tutti gli altri tipi di supporti”poveri o improvvisati dall’urgenza della pittura. Per questa ragione nella produzione di Andrea Cardia non c’è spazio per le sperimentazioni della contemporanea videoarte se non in passaggi occasionali,perché la mediazione di una videocamera o di una macchina fotografica impedisce l’esperienza puramente materica, che è anche l’esperienza dei sensi.Le tele vengono perciò “agite”in una sorta di action painting che non rinuncia però alla figura nel momento in cui il supporto viene sporcato,accarezzato,abbracciato,calpestato perfino affinché l’arte si confonda con la vita. (Veronica Briganti, storica dell’arte 2006)
 

Born Quel che piu’ colpisce nella pittura di Andrea Cardia è certamente l’intima tensione e il tormento che animano le sue forme. E’come se l’artista mettesse in movimento masse cromatiche e figure che, sempre-tradiscono uno sforzo,un’esigenza incontenibile di autosuperamento. Ciò vale anche e soprattutto per i numerosi volti, spesso autoritratti ,le cui linee fluide decise accennano ad un “oltre” che si spinge e ci spinge al di la’ di uno stupore che perfora la fissita’ estatica dell’attimo e dell’emozione che egli vuole trattenere. La dimensione propria dell’arte sembra a noi consistere essenzialmente nell’apertura che essa prefigura su un “altrove; essa utilizza alfabeti e norme sintattiche variamente configurate e sempre di nuovo configurabili,per annunciare quell’”oltre” di cui si diceva,la possibilita’ di un mondo in cui si realizzi finalmente la conciliazione dell’uomo con la natura. Questo substrato utopico dell’arte costituisce propriamente la sua “promessa” , il suo elemento irriducibilmente umano,che aspira alla liberazione,al superamento della soglia che definisce la tragicita’ della condizione storica. E’per ciò che grava sull’artista un compito ineludibile: attraversare,coraggiosamente,i territori del negativo,sporcarsi le mani con i prodotti lacerati della storia. Una realta’,quella storica,che giunge sino a noi attraverso lunghe e non sempre identificabili catene di mediazioni, e di cui facciamo esperienza, per lo piu’,in forma di disagio, che diventa talora un’angoscia muta che pervade i corpi di uomini e donne, in solitudine, e nella piu’ stretta intimità. Chi avverte il bisogno di dare espressione a tutto ciò,anche nei momenti di maggiore serenità,-che in Cardia si traducono,mi sembra ,nella predilezione per i volti di bambini,indagati nell’intensità delle loro emozioni-si espone a un rischio enorme; accettare e fronteggiare la pericolosità di un percorso ignoto è , tuttavia , l’unico riscatto possibile da una condizione umana stanca , anzitutto, della propria alienazione e del proprio irriconoscibile dolore. L’arte di Cardia è un atto d’accusa contro la disumanità, un invito a riconoscere la storicità; non solo questo però. Traspare nelle sue opere anche la ribellione nei confronti di quelle forme degradate della comunicazione che hanno sequestrato nei loro palinsesti i sentimenti umani, ”intervistandoli” e facendone oggetto di una chiacchiera interminabile e oscena. Così la morsa si fa più stretta. I suoi quadri non concedono nulla al bisogno di pacificazione dell’osservatore; al contrario , lo provocano, gli si contrappongono, ne mettono a nudo, straniandolo, i condizionamenti linguistici e gli automatismi formali. Sulle tele e gli altri supporti materiali di cui fa uso l’artista- sacchi di iuta, cartone, legno e altro – dilagano linee e colori che marcano coscientemente la propria distanza espressiva rispetto al dominio dei linguaggi eterodiretti e il cui scopo è ripristinare le regole minime di una lingua autentica e critica, autentica perché critica. (Claudio Fabbri /sociologo)

PAESAGGI UMANI: E’ l’essenza dell’essere umano il perno intorno al quale ruotano i lavori di Andrea Cardia; la centralità della figura umana è sintesi e nel contempo genesi di un discorso piu’ ampio che coinvolge tutto lo spazio circostante. Corpi che fuoriescono dalle tele/tavole attraverso una sapiente manualità che lavora la materia,la modella,la sovrappone,l’interpreta e la genera di nuovo dando vita ad opere che raccontano intimi dolori e universali affanni. Le schiene si curvano,le braccia coprono i volti o si protendono, il nudo riscopre la sua forma primordiale fatta di linee grezze e tratti decisi che si intrecciano tra di loro facendosi largo tra elementi “poveri” come lo stucco,la calce,pezzi di stoffa e giornale che assemblandosi tra di loro ricoprono come vesti membra e arti di uomini comuni. I colori sono quelli della terra , quelli che sporcano e sfiancano,gli stessi che erigono quei confini netti che separano le nostre città dal blu del cielo,dal verde dei campi, gli stessi che giorno dopo giorno soffocano la nostra percezione del reale in cambio di false illusioni filtrate da schermi al plasma e da tubi catodici. Passione intensa quasi come martirio;Ed ecco comparire , nella sequenzialità di questi lavori , l’essere Umano. L’essere umano che cerca di rialzarsi ,aggrapparsi,lottare sotto il peso della materia/ materialità che finisce comunque per schiacciarlo,seppellirlo fino a costringerlo a chiudersi nuovamente in se stesso,a proteggersi come meglio puo’. Cio’ che chiaramente colpisce in queste opere è la loro forte intensità,la loro”densità” emotiva che prepotentemente invade chi le osserva lasciando una sorta di retrogusto amaro che se da un lato disturba il “palato” con le sue fastidiose verita’, dall’altro sicuramente lascia in bocca quel sapore indistinguibile che solo cio’ che ci riguarda intimamente possiede. (Francesca Sacerdoti /Art Director e curatrice)

FRAGILE: Quel che colpisce di più nella pittura di Andrea Cardia è l’intensità dei soggetti che egli rappresenta. Sono figure isolate,disperate,spesso ricurve e contorte nel loro dolore,l’impronta materia che ne dà l’autore fa sì che lo spettatore avverta un senso d’inadeguatezza e d’impossibilità. La presenza cromatica delle pennellate,il gesto consumato dell’artista romano rivelano una tensione e un carico emotivo fuori dalla norma,i soggetti sembrano avere un segreto terribile che non possono condividere con niente e nessuno,tuttavia riescono a trovare una propria dignità perfino accucciati per terra in un angolo della casa. Le nudità dei loro corpi non sono altro che la proiezione mentale del loro io interiore,che si ritiene ormai privo e spoglio di ogni singola via d’uscita. L’uomo si dirime e si castiga alienandosi dalla realtà esterna. (Sara Paradisi - Alessio Trapassi / Scabrosa_mente)

Un agguato nell’ombra. In tralice. Notti diurne e giorni notturni. Pelle scoperta che si frantuma, polverizza,gambe che inventano una intimità sussurrata, corpi storti e contorti come strade da perdersi, e rughe, gesti, mani. Il corpo si da per sottrazione, in un moto di disgiunzione inclusiva: sempre una schiena, una tortuosità, un intrico che confonde, un pudore indecente. C’è l’ assoluta costernazione, quella dell’eden. Homo sum. Si sta sospesi a spiare, in flagranza: di follia, di solitudine, di ricordo. Il reato è l’esistenza, la presenza, la coscienza. Andrea Cardia espone la nudità sacra di chi è senza pelle. Inerme, scoperto, fragile, perso, vulnerabile e vinto, instabile. C’è il gesto brutale e accurato di chi perquisisce a fondo l’anima in questa pittura, di chi non vuole resistere alla corruzione di sbirciare gli abissi. Ha il peccato originario della conoscenza. Nudo anche lo sguardo. Il dolore è scabroso. Il particolare, il gesto, scrutano attraverso, dietro, in fondo. Ferocemente. Poi l’ombra addosso, intorno, dentro: è la distanza siderale tra io e me, l’inaccessibilità a se stessi. Fa ombra l’ esistenza e la presenza, l’inafferrabilità dell’esserci poi inaspettatamente non esserci più, se solo cambia la luce. Fa ombra la costernazione del passaggio, del mutamento, di una ruga sul viso. Si è provvisori come un transito. Innocentemente scabroso, come chi sa che si deve essere finiti e imperfetti per non perdersi l’eternità. La materia diventa concrezione, poi sottrazione, poi invenzione, poi ritrovamento; poi disperazione, poi soluzione; possibilità, esperienza. Il segno è una confessione. L’esperimento digitale dice l’esigenza del vedere sfocato, dell’alterazione, l’esasperazione che è l’ultima percezione possibile. Lo sconfinamento da sé. L’uomo diventa un groviglio inestricabile, storpiato, scarabocchiato, deformato nella serie Omo. Poi un ominide primitivo, attonito e ironico nelle sue nevrosi, costipato, un uomo piccolo piccolo. Il qualunque, senza volto e col volto di tutti. Che fa cose e vede gente, si crede al sicuro nel suo habitat che è la città, ha per totem un semaforo, per religione la televisione, per destino l’attesa alla fermata, per identità una uniforme, per solitudine la diffidenza. Tra Basquiat e i Mohai dell’isola di Pasqua; un po’ pop, ma non troppo. Diretto, giocoso, dissacrante. Scabro. Piccola, aurea mediocritas. Resta questa innocenza cattiva e il dubbio di essere tutti “omucoli”. (Simonetta Angelini per Andrea Cardia,dicembre 2008)